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innovare in azienda

I rivoluzionari dell’industria spazzano via i vecchi modelli aziendali e ne creano di nuovi. Nel loro libro Big Bang Disruption: Strategy in the Age of Devastating Innovation Larry Downes e Paul Nunes descrivono un nuovo tipo di innovazione, così potente da mettere a repentaglio l’esistenza di aziende consolidate nel giro di pochi mesi. Purtroppo, la richiesta di maggior innovazione è spesso interpretata come una richiesta di nuovi prodotti o di sviluppo di nuove caratteristiche nei prodotti più datati; la maggior parte delle aziende sono rimaste coinvolte in una corsa tecnologica nella quale ciascun concorrente obbligava gli altri a spendere di più. Si sono spese grandi risorse per le tecnologie legate a Internet e, purtroppo, sono state investite risorse per adeguare alla specificità della Rete vecchi modelli aziendali, invece di servirsi di Internet per creare modelli aziendali radicalmente nuovi.

Il nucleo centrale dell’innovazione risiede, quindi, nella capacità di creare nuove strategie capaci di generare ricchezza.

Ma perché mettere l’accento su questo concetto? Ciò che vorrei far comprendere è che se, da un lato, il Senior ha avuto la capacità di definire un modello di business di successo, dall’altro è indispensabile che il Junior vada alla ricerca di nuovi concetti aziendali. Purtroppo, l’intuizione fondamentale non scaturisce infatti da un processo di pianificazione, ma da un mix di predisposizione al cambiamento, di desiderio, di curiosità, di ambizione e di bisogno. Se la vostra azienda è certificata per la qualità, vuol dire che ha già assimilato nella propria cultura questo passaggio.

Sono ormai passati più di 25 anni da quando lessi il discorso di Cesare Romiti sulla “qualità totale” in Fiat, pronunciato nel 1989 durante il famoso seminario di Marentino davanti ai manager e ai quadri dell’azienda, tutti schierati per ascoltare il nuovo proclama. “Dobbiamo istituzionalizzare la qualità”, disse, “deve diventare il compito di tutti”. Per molte aziende, compresa la Fiat, ci vollero dieci anni e anche più per capire e per far propria la qualità intesa in termini di capacità.

In modo analogo, credo che anche oggi la sfida consista nel costruire una capacità per l’innovazione del modello di business aziendale ovvero una capacità che produca idee interamente nuove e che sappia reinterpretare quelle vecchie.

Creare una capacità diffusa a livello aziendale per l’innovazione radicale non è una sfida minore rispetto a quella di creare un’organizzazione basata sulla qualità. Soprattutto, oggi non ci si può più permettere il lusso di aspettare dieci anni.

Attenzione, però: con questo non voglio dire che l’innovazione è generata dal vertice.

Quante volte, infatti, le rivoluzioni sono state fatte dai re? Nelson Mandela, Mohandas Gandhi o Martin Luther King avevano forse il potere politico? No, eppure hanno modificato radicalmente il corso della storia grazie alla propria passione. Personalmente, credo di più nel ruolo degli attivisti. Mai prima d’ora è stato così opportuno esserlo. Per esempio: pensate come la tecnologia sta creando una sorta di democrazia dell’informazione e come i confini che normalmente definivano i livelli gerarchici sono sempre più permeabili;

  • ora, come mai credo sia accaduto in passato, i dirigenti sanno che non possono obbligare le persone a impegnarsi, perché la generazione che sta entrando in azienda è la più avversa all’autorità di tutta la Storia;
  • credo che sia chiaro a molti che viviamo in un mondo così complesso e incerto che le aziende dall’impronta autoritaria e dai sistemi di controllo molto forti sono destinate a fallire;
  • ogni giorno che passa il valore del capitale intellettuale supera quello del capitale fisico e ormai sono i lavoratori che stanno diventando i veri capitalisti;
  • in molte realtà i lavoratori si stanno trasformando anche in azionisti.

Gli attivisti hanno saputo modificare la forma delle aziende, com’è successo nel caso della Sony e della Ibm. Alla fine degli anni Novanta un ingegnere di livello intermedio persuase la Sony a investire nelle console e, sempre in quel periodo, uno scienziato informatico patito della Rete riuscì a trasformare la Ibm dal più grande produttore di hardware nella più grande società di servizi nel mondo dell’e-business. Non dite, quindi, che è impossibile e domandatevi, piuttosto, se sareste in grado di guidare questa rivoluzione. Se sognare, creare, esplorare, inventare, essere pionieri e immaginare sono parole che non descrivono ciò che state facendo, allora è molto probabile che voi e la vostra organizzazione siate già stati sorpassati dalla Storia.

Questo momento ha bisogno di rivoluzionari e, se agirete come i semplici guardiani della vostra organizzazione, sarete presto entrambi perduti.

Nell’era industriale i passi erano misurati e lenti: “Pronti, pronti, pronti, mirate, mirate, mirate, fuoco!”, per usare una metafora militaresca. È vero, in passato abbiamo ricevuto molto: aerei eccellenti, farmaci fantastici e altre importanti tecnologie che hanno prodotto enormi ricchezze. Nel dopoguerra nacque un secondo regime di innovazione, che dapprima generò e poi alimentò la società dei consumi, i cui eroi furono realtà come la Coca Cola, la P&G, la Nestlè e l’Unilever. Anche se investivano rilevanti somme nella ricerca e nello sviluppo, l’obiettivo primario di queste aziende era quello di generare bisogni e fu il marketing a passare al centro dell’innovazione, creando storie che potessero colpire la nostra immaginazione e persuaderci a comprare. Dagli anni Cinquanta fino agli anni Novanta i migliori talenti non volevano più diventare scienziati, bensì product manager. Il risultato? Shampoo e dentifrici collocati al vertice della gerarchia dei bisogni teorizzata da Abraham Maslow.

Come sostiene Hamel, il nuovo ordine industriale è il prodotto di un tipo di innovazione molto diversa, costruita sulla base di un salto nelle capacità di immaginazione dell’essere umano. I tempi di sviluppo si misurano ormai in settimane, non in anni, i clienti sono partner nello sviluppo e offrono feedback in tempo reale all’interno di un ciclo senza fine di sperimentazione, adattamento, sperimentazione, adattamento. “Fuoco, fuoco, fuoco, mirate e ancora fuoco, fuoco, fuoco!”: ormai non c’è più tempo per il “Pronti”.

L’obiettivo non è quello di depositare un brevetto o di creare una nuova campagna pubblicitaria, bensì quello di creare un concetto di azienda radicalmente nuovo. Gli innovatori non sono né scienziati né uomini di marketing, ma individui capaci di produrre qualcosa dal nulla. Nella Silicon Valley, come in molti altri distretti tecnologici avanzati, non ci sono addetti alle ricerche di mercato, come non ci sono Ceo che suddividono risorse tra progetti in concorrenza tra loro. Ci sono migliaia di nuove idee che concorrono su quello che è diventato un mercato aperto per l’innovazione del concetto di business.

Chi ha meriti attrae talenti e capitale. La ricerca e sviluppo e il marketing di prodotto costituiranno sempre le leve per la creazione di ricchezza ma non saranno più gli unici strumenti e, forse, nemmeno i più redditizi. Sia i manager dai capelli grigi sia i giovani arrivati da poco sulla breccia dovranno abbracciare la nuova agenda dell’innovazione

Davide Merigliano – Senior Partner – Modulo Group